Adriano Attus, il creativo dei numeri che rende bella l'economia 

di Gaia Montanaro 

ELLE DECOR (original article, 18 giugno 2020)

Come stanno insieme il rigore dei numeri con la creatività artistica della grafica? Per Adriano Attus, creative director del Sole 24Ore, questa è la sfida di ogni giorno. Curiosità eclettica, spirito d’osservazione e voglia di misurarsi con il nuovo sono alcuni degli strumenti da mettere in campo. Per guardare al mondo economico – e non solo – con un occhio diverso.

Come si è avvicinato alla professione di art director? Ha sempre voluto fare questo mestiere?
Tranne una breve fase della mia adolescenza in cui sarei voluto diventare pilota d’aerei, ho sempre avuto la passione per il disegno e per la lettura. Sono cresciuto con le matite in mano, con i Lego, con Topolino, con i fumetti Marvel e Dc Comics. Anche le inclinazioni familiari hanno avuto grande peso sulla mia formazione: mia mamma era parrucchiera e in salone avevo sempre una montagna di riviste a mia disposizione. Mio papà, lucidatore di mobili, mi ha trasmesso una certa manualità e gusto per le finiture. Mio zio poi era tipografo e con lui ho avuto modo di conoscere le meraviglie della stampa e le magie della composizione.

Se e quali incontri hanno condizionato (in positivo) il suo percorso? Qual è stata la lezione più importante che ha imparato da chi è stato suo maestro?
Alla Bauer di Milano, dove ho iniziato i miei studi di grafica, tra i vari insegnanti ho avuto la fortuna di incontrare Roberto Priori e Franco Nidasio: progettista il primo, molto più tecnico il secondo. Ho capito che avrei dovuto unire queste due anime e i loro insegnamenti per riuscire a entrare a pieno titolo nel mondo della grafica e della pubblicità. Eravamo alla fine degli anni 80, il computer era ancora un piccolo miraggio e Internet fantascienza. Lavoravo di giorno e studiavo alla sera. Per riempirmi gli occhi e la mente di idee ed immagini avevo deciso di ritagliarmi un’oretta quotidiana alla sezione “grafica e fotografia” della Libreria Hoepli di Milano per sfogliare libri e manuali stranieri. Quando sono arrivato al Sole 24Ore, ho imparato tantissimo da Elia Zamboni, rigoroso e preciso all’ennesima potenza, e dal direttore Gianni Riotta, visionario e pionieristico nella informazione digitale.

Ha lavorato per magazine e per i quotidiani. Se e come cambia il suo lavoro - nel concreto - applicato a strumenti comunicativi che hanno cadenze di uscita differenti?
In effetti ho avuto la fortuna di lavorare per mensili, settimanali e quotidiani. In questi ultimi dodici anni ho potuto assistere alla settimanalizzazione dei quotidiani cartacei e ho cercato di partecipare attivamente a una trasformazione dei giornali con un impatto visivo più importante e una costruzione della informazione in maniera più strutturata e approfondita. Il mio background da pubblicitario e da grafico dell’editoria periodica ha permesso di fornire il mio apporto anche al Sole 24 Ore trasmettendo un certo senso di costruzione della pagina e sovvertendo molte stratificazioni che portavano il giornale ad essere un po’ ingessato e non sempre accattivante. All’atto pratico è cambiata la “responsabilità temporale” nei confronti della redazione e della produzione: se prima avevo modo di fare alcuni servizi in due, tre o più giorni coinvolgendo pochi colleghi attraverso un iter consolidato e condiviso, adesso mi capita di lavorare partendo alla mattina per chiudere alla sera coinvolgendo molte più persone e assumendo il calcolo dei rischi nel guidare la redazione in una determinata direzione. Un conto è schizzare un menabò immaginando il risultato, un altro è vedere concretizzata la pagina e conquistarsi la fiducia di tutti riuscendo effettivamente nell’intento di dare una forma particolare a pagine altrimenti più normali. Purtroppo al Sole non esiste un photo editor o un dipartimento fotografico: come ufficio grafico centrale (Francesco Narracci, Guido Minciotti e Antonio Missieri) monitoriamo e guidiamo la scelta delle foto di cronaca, ma sul Quotidiano non produciamo, né commissioniamo o valutiamo servizi con i fotografi.

Il Sole 24 Ore è un quotidiano prettamente economico. Come stanno insieme i numeri dell’economia con un linguaggio creativo come quello che deve utilizzare per il suo ruolo? Sembrano essere due pianeti e due modi di comunicare molto diversi…
Prima di approdare al Sole ho lavorato in una quindicina di redazioni le ultime delle quali sono state Il Mondo, Tuttofondi, Bloomberg, Panorama Economy (dove sono diventato art director a 34 anni) e Panorama. Ho avuto la consapevolezza che il lettore di questo tipo di giornali avesse una competenza di un certo livello e meritasse che i contenuti potessero essere valorizzati anche in una modalità più astratta ed esteticamente accattivante rispetto alla rigidità tecnica cui troppe volte erano stati abituati. I temi trattati dai giornali economici (penso a Pil, titoli di Stato, azioni, obbligazioni, recovery fund, spread e alle infinite terminologie per adepti) sono effettivamente poco rappresentabili in maniera diretta. Riuscire ad illustrare questi tecnicismi è sicuramente stata una carta vincente che mi ha permesso di realizzare copertine e servizi diversi rispetto a quanto ci si sarebbe aspettati da un giornale economico. Ciò mi ha permesso di continuare a crescere e spostare sempre più in alto l’asticella della rappresentazione. Ho poi sempre avuto una grande predisposizione nel visualizzare i numeri e le cifre: provo un grande rispetto per la matematica, per la statistica, per le cifre in senso assoluto e da sempre sono affascinato da tutti gli artifici che consentono di trasformare i dati in una formulazione visiva dal forte impatto geometrico e cromatico (penso ai numeri figurati dei pitagorici, ai poster commerciali di Pintori per Olivetti, alle opere di Robert Indiana e Tobia Ravà, alle dataviz di Giorgia Lupi o Jer Thorp per citarne alcuni).

Nel suo lavoro si è spesso misurato con la realizzazione delle info-grafiche. Quali sono secondo lei le risorse creative di questo strumento? C’è un’info-grafica a cui è particolarmente legato tra quelle fatte?
Attraverso l’infografica abbiamo un potente strumento a disposizione per comunicare fatti e notizie ricavando informazioni da un determinato database. Se in passato si trovavano le storie e bisognava cercare dati per consolidarne la validità, adesso sempre più spesso è possibile trovare notizie nei numeri. E questo può senz’altro spingere il giornalista a cercare storie che ne rendano concreta la manifestazione. Riuscire a trasmettere nozioni e fenomeni a un numero d lettori ampio in maniera intelligibile è comunque una soddisfazione ineguagliabile. In alcuni casi, sempre cercando di mantenere il focus sulla correttezza formale della informazione, l’infografica riesce addirittura a raggiungere vette artistiche tali da poter sostituire fotografie e illustrazioni. In pratica la dataviz risulta una freccia in più all’arco del grafico per rafforzare un servizio o dare maggior ritmo allo sfoglio del giornale. Non dimentichiamo poi che una bella immagine ha molte più possibilità di essere ricordata e fissarsi nella mente dei lettori. Tra le info-grafiche cui sono maggiormente legato ho il progetto di “handmade data visualization” sviluppato anni fa per Moda24: una serie di infografiche fatte a mano per rafforzare l’idea di artigianalità, fulcro del nostro made in Italy. Recentemente invece le più grandi soddisfazioni sono arrivate con i servizi legati alla Qualità della Vita. La QDV è l’indagine multimediale del Sole 24 Ore basata su 90 indicatori e vari indici per definire le province d’Italia dove si vive meglio… Un progetto coordinato da Michela Finizio e Marta Casadei interamente realizzato con l’ufficio infografico del Sole su carta e online: una bellissima “fotografia” statica sul giornale, un fantastico strumento di ricerca e confronto sul sito.

La sua creatività si traduce in forme artistiche diverse. Questa sua ecletticità se e come alimenta il suo lavoro di art director?
Amo la fotografia, soprattutto la fotografia di viaggio, e tutte le rappresentazioni visive. Da alcuni anni porto avanti un progetto artistico per cercare di dare sfogo alla creatività che tante volte rimane imbrigliata dalle dinamiche redazionali. Con le mie tavole cerco anche provocatoriamente di avvicinare l’osservatore ai numeri, ai dati, alla loro importanza e alla loro relativa visualizzazione e interpretazione, spiegando come dietro ai numeri ci siano sempre le persone (www.numerage.com). Avere da sempre una discreta ampiezza di vedute mi ha permesso di avvalermi della collaborazione di grandi illustratori italiani e stranieri, designer e fotografi con i quali ho sempre cercato di mantenere un atteggiamento collaborativo in una continua osmosi.

C’è stata una copertina (di quotidiano o rivista) che quando l’ha vista hai pensato: “avrei voluto averla fatta io!”?
Sì, forse la Prima Pagina del quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung (NZZ) realizzata per il debutto della pubblicazione online della sua edizione cartacea, realizzata interamente con zero e uno, in codice binario. Idea geniale come forma e come sostanza.

Tra le tante cose di cui si occupa, insegna anche in Università. Quali sono gli insegnamenti principali che desidera trasmettere ai suoi studenti?
Il rispetto per il lettore prima di tutto. Rispetto che deve manifestarsi nella creazioni di articoli, pagine, infografiche o long format web senza errori. Come giornalisti, come grafici o come illustratori abbiamo sicuramente un’importante funzione sociale che dobbiamo preservare e garantire anche nella più semplice didascalia. Per quanto cerchiamo di essere preparati e trasformiamo un fatto in notizia, ci sarà sempre qualche lettore che ne sa più di noi. Dobbiamo quindi garantire massima autorevolezza, senza dare mai alcuna informazione per scontata. Cerco poi di raccontare che il lavoro del giornalista è un lavoro duro anche fisicamente, non solo a livello mentale. Rimanere lucidi dopo 12/14 ore di lavoro dietro a un articolo, a una pagina o a una infografica non è così facile e bisogna essere pronti nel buttare e rifare tutto qualora un evento sconvolga la foliazione. Come se a un maratoneta venisse chiesto lo scatto del centometrista nell’ultimo chilometro. Provo poi a spiegare ai ragazzi, anche se a volte mi risulta difficile, che siamo sì di fronte a una irreversibile crisi economica dell’editoria. È però la crisi dell’editoria e della carta stampata come l’abbiamo intesa finora. Mai come in passato abbiamo adesso le più grandi opportunità e i mezzi per cambiare il modo di fare giornalismo, trasmettendo e trasformando le informazioni in nostro possesso attraverso una trans-medialità in continua evoluzione.

Se e quanto conta nel suo lavoro scoprire nuovi talenti (grafici, illustratori etc)? Come riconosce su chi vale la pena scommettere?
Considerate le attuali ristrettezze economiche in cui versa il mondo dell’editoria forse adesso scoprire nuovi talenti conta abbastanza poco, se non valutiamo la soddisfazione a livello umano e personale. Sarebbe bello poter trovare e scovare nuovi tratti e nuove firme e fare in modo che un determinato stile diventi riconoscibile per un giornale o un prodotto, legandosi a un determinato illustratore o designer. Purtroppo le tariffe attuali non consentono ai professionisti dell’immagine di avere un unico committente in editoria e questo è effettivamente un grave peccato. In passato ho avuto la fortuna di veder debuttare mostri sacri dell’illustrazione italiana come Emiliano Ponzi e Olimpia Zagnoli, cavalli di razza che avrebbero trovato comunque la loro strada, ai quali sono sempre legato da profonda amicizia e immutata stima. L’idea di offrire grande visibilità a un potenziale nuovo illustratore e la gioia che questi ricaverà dalla pubblicazione è però una grande spinta nel continuare a cercare figure che possano ottenere il massimo da una carriera in formazione.

Tra le sue passioni c’è anche quella del viaggio. Tra i luoghi che ha visitato c’è un bagaglio visivo in particolare che si porta dietro e che magari ha trattenuto come suggestione per qualche suo lavoro?
La suggestione e la potenza cromatica dei meravigliosi festival religiosi del Tibet o del Bhutan; la potenza ancestrale delle rappresentazioni tribali africane (penso alla danza funebre dei Dogon in Mali); la maestosa verticalità dei templi indù e le mirabili costruzioni geometriche delle architetture islamiche. Ogni viaggio ti offre poi l’idea di cercare di vedere le cose in maniera differente rispetto alle abitudini consolidate. Ripenso sempre all’insegnamento degli himba in Namibia: il passato, vissuto e quindi conosciuto, rimane davanti ai nostri occhi e lo possiamo sempre rivedere. Il futuro, invisibile e indecifrabile perché ancora da venire, è invece alle nostre spalle, nascosto dietro ognuno di noi.

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